LA FILOSOFIA DEL SILENZIO

Per una persona comune il silenzio è solo assenza di suoni.

Non ha bisogno di sapere altro, quindi è giusto così.

Per un filosofo od un sociologo il silenzio è qualcosa di più complesso, da valutare sotto molteplici aspetti.

Prendiamo per esempio un gruppo di amici che si incontrano quotidianamente; inizieranno a parlare da subito senza farsi alcun genere di problema.

Ora, invece, osserviamo un gruppo di persone che ancora non si conoscono tra di loro, ma che dovranno confrontarsi di lì a poco.

Occorrerà loro un breve periodo di silenzio preparatorio, al fine di adattarsi reciprocamente, di trovare le parole giuste per iniziare la conversazione senza correre il rischio di creare malintesi.

Inizialmente ci sarà un imbarazzo impercettibile che impedirà loro di parlare con immediatezza. Chi romperà il ghiaccio?

Per Plutarco, ed ecco un altro esempio: “Nessuna parola ha mai giovato tanto, quanto le parole non dette. Infatti è sempre possibile dire ciò che si è taciuto, ma non si può più tacere ciò che è stato proferito; le cose dette si divulgano e si diffondono ovunque".

Per un osservatore attento, perciò, il silenzio non è solo assenza di suoni, bensì un ventaglio di modalità espressive tutte diverse tra di loro a seconda dei contesti, delle circostanze e delle situazioni.

Ed è proprio osservando silenziosamente che il filosofo ed il sociologo si accorgono di ciò che sfugge ai più, per poi prenderne nota a beneficio di tutti.

E allora scriveranno del silenzio religioso, sacro, soave, oppure di quello inquietante, inspiegabile, malinconico, di disapprovazione, o di quello glaciale, accusatorio, referente, provocatorio, pesante, risentito, astioso, imbarazzante, e qui mi devo zittire poiché la lista è sconfinata, come il silenzio stesso.

Tratto dal Corso: Corso Counseling Filosofico – Diventa Consulente Filosofico

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natyan

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