La Morale Cristiana? – Studio Gayatri PNF Monza
Tra i miei pensieri di gioventù, vi erano ideali romantici, la cui storia spero che non cada mai nell’oblio.
Incontrai prima di tutto la morale cristiana, e qui vi pregherei di non confondere gli errori degli uomini con il concetto buono e astratto della moralità.
La trovai degna di essere abbracciata, poiché basata sulle intenzioni.
Infatti, ancora oggi, la nostra giurisprudenza, prima di condannare qualcuno ne valuta le motivazioni. Una cosa è rubare una mela perché si ha fame e ben altra è rubarla per fare un dispetto all’ortolano o per lanciarla in testa a qualcuno.
Nella nostra epoca basata sulla produttività, sull’efficienza e sul tempismo, la morale cristiana è forse più forte dell’arrivismo e della competizione?
Una mia cara amica, colta da improvviso malore, piuttosto che sbandare pericolosamente durante la guida, con il rischio di ammazzare qualcuno, ha parcheggiato l’auto nel primo posto libero trovato, in sosta vietata.
E’ scesa per prendere aria qualche minuto, e un bicchiere d’acqua nella speranza che le passasse velocemente un attacco di panico.
Chiunque abbia provato un attacco di panico sa bene quanto sia difficile combatterlo con la propria volontà, e quanto l’abitacolo di un auto diventi un luogo maledettamente invivibile.
Due agenti di turno le fanno contravvenzione, nonostante lei si trovi a pochi passi, nonostante mostri loro un certificato medico, nonostante abbia ammesso il proprio “torto” chiedendo mille scuse e solo un po’ di comprensione.
Gli ordini dall’alto sono chiari. Le regole sono regole, senza eccezioni per le intenzioni. Nulla di contestabile agli agenti, i quali hanno agito obbedendo agli ordini superiori, con efficienza, tempestività e produttività.
Forse che la produttività si possa sposare con l’anima?
Incontrai crescendo la morale laica di Kant. Non che il filosofo tedesco non credesse in Dio, ma voleva donare una morale che fosse valida per tutti, perciò dichiarò che l’essere umano non deve essere trattato come mezzo, bensì come un fine, e cioè con lo scopo dell’ottenimento della felicità.
Se mi guardo intorno, però, vedo l’essere umano più come uno strumento che come un fine. Di fronte alle regole di produttività, tempestività ed efficienza non c’è ragion che tenga. Se i migranti (e qui mi aspetto una bordata di fischi) fossero tutti produttivi, non ci sarebbe alcun problema ad accoglierli poiché i brutti, neri e cattivi diventano buoni, belli e bravi se giocano a pallone e fanno vincere coppe e scudetti. Non è questione di razzismo, se non per poche frange irriducibili, bensì di utilità.
Quanto vali? Quanto mi porti? Che vantaggi mi dai? In una società che ha messo al primo posto il profitto non può essere valido nessun altro concetto, è la nuova (o forse vecchia ma oggi più potente di ieri?) incontrastabile morale.
Max Weber volle apportare una terza morale che prevenisse il male, così come era l’impegno di Prometeo (colui che pensa prima) e dichiarò che dovremmo preoccuparci di una sola cosa e cioè le conseguenze delle azioni.
Il ragionamento forse filava ai suoi tempi, ma oggi mi avvedo che più così non è.
Siamo nell’età della scienza ed agiamo per procedure casuali, senza intenzioni, senza un vero fine e ancor meno preoccupati delle conseguenze.
Se andiamo sulla Luna, o su Marte o dove vi pare, non ci andiamo con un obbiettivo ultimo. Ci andiamo per sperimentare, vedere cosa c’è. Solo dopo se, casualmente, scopriremo qualcosa di utile lo utilizzeremo.
Questo vale per ogni campo della ricerca scientifica e tecnologica.
Scopriamo per procedura casuale la bomba atomica, il nucleare, le armi di sterminio di massa, la clonazione e perfino le cure mediche.
Le conseguenze signor Weber?
La scienza non può stabilirlo a priori. Occorre prima la verifica negli anni e sapremo solo dopo se sarà vittoria o catastrofe.
L’operaio di Brescia che produce spolette per le mine anti-uomo non deve preoccuparsi delle conseguenze. Deve fare il suo lavoro con produttività, efficienza e tempismo. Non può e non deve avere una propria coscienza. Deve procurarsi lo stipendio e finché non trova un posto dove lo pagano di più resta lì, che male c’è?
Come quando un comandante nazista conduceva a morte migliaia di ebrei o gli assistenti di Stalin torturavano fino a morire i dissidenti. Facevano il loro lavoro, che male c’è? Obbedivano agli ordini superiori con efficienza.
L’era della tecnica sta spegnendo l’umanità perché la tecnica stessa, la tecnologia, non tiene conto della morale o dell’etica.
Come può (esclama il Prof. Umberto Galimberti) un’etica che non può, dire alla tecnica che può, di non fare quello che può? Visto che può, perché non dovrebbe farlo? I robot al posto degli operai e dei camerieri? La tecnica può! Quindi perché no? L’etica diventa patetica ed implora, elemosina uno stop, ma quel che si può fare, prima o poi, verrà fatto.
Il tutto indipendentemente dalla morale cristiana delle intenzioni, da quella laica del fine o da quella di Weber che si preoccupava delle conseguenze delle azioni.
La scienza non ha colpe, poiché è tipico della tecnica produrre effetti imprevedibili.
Il problema è tutto nella perdita di consapevolezza dell’essere umano.
Non c’è quasi più silenzio dentro di noi. Non ci sono quasi più sogni. C’è la persistente necessità di produzione.
A tal punto che, come diceva Hegel, non sono i beni a produrre ricchezza bensì ciò che li produce.
E se il mezzo di produzione è diventato più importante del produttore siamo alla frutta.
Se il denaro, prevedeva Marx, aumenterà a dismisura la propria quantità, il fine da raggiungere non sarà più la felicità dell’uomo, bensì il denaro stesso.
Di fronte all’ambizione di potere la coscienza si spegne e si perde l’umanità.
A dirla con Jovanotti: “Ma l’unico pericolo che sento veramente è quello di non riuscire più a sentire niente!”
Perciò:
Tra i miei pensieri di gioventù, vi erano ideali romantici, la cui storia spero che non cada mai nell’oblio.
natyan
Se desideri essere aggiornato sui Programmi Gayatri clicca qui: https://www.studiogayatri.com/newsletter/