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Anahata Chakra - L'Energia Amorevole in noi- Di Federica Luna Orlando


(@surya)
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– Biennio Formazioni Insegnanti Yoga 2018-2020 – Università Popolare della Cultura Olistica Studio Gayatri

Il Chakra del Cuore – Significato e simbologia

Anahata Chakra è il quarto dei nostri sette centri energetici che nella cultura yogica sono detti chakra, ovvero delle ruote vorticanti di energia, ognuna delle quali vuole rappresentare delle determinate aree corporee alle quali sono correlate delle emozioni. I chakra sono collocati a varie altezze lungo un filo immaginario che percorre tutta la colonna vertebrale. Anahata, termine sanscrito che significa non colpito, è posizionato al centro del nostro petto e per questo motivo esso è soprannominato il chakra del cuore. Il suo colore simbolico per la tradizione è il verde. Un cuore puro e distaccato è il cuore di chi segue il principio dello Yoga: yoga chitta vrtti nirodah, ovvero un cuore imperturbabile non si lascia scalfire dai turbamenti della mente, ma al contrario rimane privo dei veleni mentali che causano sofferenze come invidia, rabbia e gelosia. Distacco non significa non provare sentimenti o evitarli, ma osservarli serenamente senza attaccarsi ad essi e senza andare a rompere il proprio equilibrio emotivo.

Un cuore limpido è quello di colui che è in grado di ascoltare nel profondo e non solo di sentire, di provare sentimenti elevati come compassione ed empatia nei confronti degli altri ma anche e soprattutto nei confronti di sé stesso. E’ capace di lasciarsi andare alla vita e aprirsi ad ogni sua possibilità e ad ogni esperienza. E’ in grado di comunicare con gli altri e di emanare un’energia amorevole e stabile dal proprio cuore, per poi relazionarsi al mondo esterno senza turbamenti o attaccamenti. Senza amore per sé stessi e soprattutto senza compassione per sé stessi non c’è Anahata. Compassione è saper accettare quello che si è in maniera totalitaria e questo significa volersi bene completamente, nella positività e nella negatività delle esperienze della vita. Questo non significa ignorare dei lati forti o non propriamente corretti del proprio carattere, oppure ignorare ciò che provoca fatica o dolore, ma la compassione permette, nel processo di volontà di miglioramento di sé, di non condannare i propri errori, le esperienze che hanno fatto soffrire, le scelte passate che poi si sono rivelate sbagliate o i pensieri martellanti nella mente che sabotano il proprio essere, facendo credere di non essere “abbastanza bravi”, “abbastanza belli”, “abbastanza all’altezza” o integrati nella vita. Il termine compassione nasce dall’etimologia con – passione ed è l’essere presente con i sensi fisici, essere completamente nel qui e ora per poter vivere e godere della vita senza essere costantemente proiettati in un passato e in un futuro che non esistono. Il passato è trascorso e non si può rivivere e allo stesso modo il futuro non si può predire ed è un puro frutto della nostra immaginazione che non è reale.

Amando e provando compassione per sé stessi si può comprendere, capirsi senza giudicare, e partendo da questa base solida si possono instaurare relazioni personali basate sulla gentilezza, sull’espressione libera dei sentimenti e sul perdono, ovvero sul lasciare andare le aspettative e amare senza condizioni.

I primi 3 chakra, Muladhara, Swadhistana e Manipura chakra, sono simboli di materia legati ai bisogni di sopravvivenza.

Essi rappresentano le fasi iniziali della vita e l’immaturità emotiva, come un bambino appena nato che ha bisogno di essere attaccato alla madre e ai sostentamenti, e come un adolescente che esplora l’ambiente circostante e vuole affermare nel mondo il proprio io. Questi chakra sono detti inferiori ma non per importanza: questo ha creato spesso molta confusione in chi sostiene che la materia conduce al peccato e che solo lo spirito è sublime. Per molte persone seguire una vita spirituale significa distaccarsi completamente dalla materia, intesa come fonte di piaceri e attaccamenti che ci discostano da un cammino interiore di consapevolezza.

Anahata chakra è un punto di incontro e di passaggio tra i bisogni materiali e gli ultimi 2 chakra maggiori, Vishuddi e Ajna, i due centri energetici che ci innalzano sempre di più verso lo spirito.

Il nostro cammino interiore termina con Sahasrara, il settimo chakra, che in realtà non è propriamente un chakra perché va oltre l’energia stessa: esso è la consapevolezza di tutto, la nostra pura

essenza al di là del corpo. Essendo un punto centrale tra terra e cielo, Anahata ci insegna che le emozioni più pure non possono essere provate solo con lo spirito o solo meditando o stando in solitudine, ma è vivendo e godendo della materia, dei beni terreni, delle relazioni e degli scambi con gli altri che possiamo diventare persone complete. Siamo nati sulla Terra per un motivo, non per redimere un karma intangibile, ma per essere completamente presenti, godere di tutti i frutti che abbiamo a disposizione e sentirci grati di avere i sensi attivi per poterlo fare. Il settimo chakra ci collega al cielo, al raggiungimento del Samadhi, l’ottavo e ultimo passo di Patanjali. Senza le radici un albero non può crescere forte e stabile per distendere i suoi rami e allo stesso modo senza la materia noi non possiamo elevarci spiritualmente per renderci contro che non siamo solo beni terreni ma anche anima. Da qui, una volta raggiunta questa consapevolezza, possiamo distaccarci dalla materia, lasciare andare, abbandonare i bisogni ed essere individui completi e imperturbabili.

Anahata chakra è l’inizio del noi e la fine dell’io.

Nel passaggio dall’individuo alla collettività ci si apre alla vita, nonostante la possibilità di sofferenza o di cadere nelle trappole dei veleni mentali. Diventare uno yogi è vivere in pieno con la consapevolezza che la vita è un gioco di luci e ombre, di gioia e sofferenza, di Yang e Yin, di Sole e Luna, di poli opposti. E’ gioire, trovare la felicità dentro di sé e poi trasmetterla e condividerla con gli altri, ma allo stesso tempo è accogliere i sentimenti di tristezza, paura, dolore, senza catalogarli come negativi ma come positivi e utili per il nostro cammino di crescita interiore. Solo in questo modo li si può affrontare con una consapevolezza diversa e superarli con introspezione e raccoglimento.

Anahata chakra è legato all’elemento aria. L’aria è la leggerezza del cuore, libero dai pesi e dalle sofferenze, ma è anche il respiro, il prana, la spinta vitale che ci tiene in vita. Il suo simbolo è un loto aperto con 12 petali che stanno a rappresentare i 12 turbamenti mentali da lasciare andare per poter raggiungere questa libertà interiore:

  Lussuria: in eccesso non si vive senza la ricerca di un piacere sfrenato e in difetto non ci si concede del piacere perché non si pensa di meritarlo, o semplicemente non si è stati educati a lasciarsi andare ai beni

  Inganno: nei confronti degli altri, ma anche nei confronti di sé stessi, nel rimanere in situazioni stagnanti che non fanno stare bene perché ci si auto-convince che siano giuste.

  Indecisione: rimanere attaccati ai propri rimuginii mentali oppure procrastinare nel tempo situazioni in cui occorrerebbe porre una scelta.

  Rimorso: che lega al passato invece di vivere pienamente nel presente.

  Speranza: che lega ad una possibilità illusoria.

  Ansia: la non accettazione di una situazione presente che spinge a proiettarsi nel futuro.

  Desiderio: inteso come brama e non come spinta sana verso gli obiettivi che ci si prefigge.

  Parzialità: l’amore vero e puro deve essere fermo, docile e imparziale.

  Arroganza: in eccesso sfocia nell’egocentrismo e in difetto diventa troppa umiltà e non imporsi nella vita con la propria volontà.

  Incomprensione: non ascoltare i voleri, le esigenze e la natura altrui, imponendo il proprio io sopra di essi.

  Pregiudizio: giudicare una diversità prima ancora di conoscere effettivamente a fondo una situazione e capire che le differenze portano ad un arricchimento interiore e non ad un conflitto.

  Disobbedienza: alla voce interiore presente in ognuno, ignorare l’istinto, le volontà, ciò che si sente essere giusto per sé stessi. Bisogna distendere un petalo alla volta e schiudere il loto di Anahata per aprire il                       proprio cuore ad una vita consapevole.

Non solo Asana – Lavorare sul Cuore

Nello Yoga Il Bija Mantra di Anahata è la sillaba YAM. Dopo un’inspirazione profonda, verbalizziamo questa sillaba ad occhi e labbra chiuse. La si può sentire risuonare all’interno dello spazio presente nel nostro cranio e questa vibrazione ci concentra e ci fa rimanere focalizzati sul momento presente. In questo modo i nostri pensieri non si disperdono, ma la vibrazione ci riporta allo scopo della nostra meditazione, ovvero quello di focalizzarci sul chakra del cuore e lavorare sul suo significato e sui suoi aspetti simbolici. Ci sono numerosi simboli ad esso collegati che possono aiutarci a suscitare in noi delle emozioni per aiutare la nostra attenzione a rimanere concentrati sul cuore: pietre come il quarzo rosa, figure animali simboliche come l’antilope, l’astrologia come il pianeta Venere, o le note musicali come la nota fa possono essere inserite armoniosamente nelle meditazioni. Diamo spazio alla nostra creatività. Le divinità indiane su cui possiamo meditare per questo lavoro interiore sono Isa che rappresenta l’importanza della parola e Kakini

che rappresenta l’aspetto romantico dell’amore universale. Le divinità nello Yoga non sono degli dei intangibili ma sono delle guide spirituali che possiedono doti e caratteristiche che ci ispirano e che possiamo integrare in noi con la devozione, i mantra, le offerte e i canti in loro onore. Nell’Hatha Yoga ci sono numerose asana, o posture, che permettono l’apertura del petto e lavorano sulla postura delle spalle e sul rinforzamento dei muscoli della schiena, creando spazio per un corretto passaggio dell’aria. Polmoni, cuore, braccia, mani sono le zone corporee correlate simbolicamente ad Anahata. E’ con un cuore e palmi aperti che permettiamo che le esperienze ci raggiungano ed è con braccia forti che possiamo sostenere e abbracciare la vita.

Asana Hatha Yoga:

  Balasana, il bambino.

  Bhujangasana, il cobra.

  Gomukhasana, il muso di vacca.

  Hanumanasana, la spaccata.

  Kurmasana, la tartaruga.

  Rajakapotanasana, il re piccione.

  Simhasana, il leone

Anche lo Yin Yoga permette di lavorare col nostro corpo per un’apertura profonda del petto e del nostro cuore. In questa pratica, le asana tenute a lungo, dai 3 fino ad un massimo di 7 minuti, creano discomfort nel corpo ed è normale che insorga la tentazione di muoversi e di distrarsi. In questi momenti bisogna rendersi conto di questo istinto per poi portare l’attenzione all’interno, mentre adattiamo il nostro corpo e rendiamo la posa il più comoda possibile.

Asana Yin Yoga:

  Eroe sdraiato

  Cucciolo con blocchi sotto le braccia e mani in preghiera

 Torsione con braccia in apertura laterale

 Pesce con supporti

E’ una pratica meditativa in cui il respiro permette di calmare la mente, di rilassare il corpo e di lasciarci andare completamente nell’asana. Nello Yin Yoga si può lavorare con delle affermazioni mentre si mantiene la postura, in modo tale da rimanere presenti e concentrati con la mente e svolgere anche un lavoro di tipo emozionale.

Ad ogni asana, ripeti mentalmente:

  Mi merito amore e di mi merito di essere accettata/o

  Provo compassione ed empatia per tutti gli esseri viventi

  Sono disposta/o a perdonare e ad essere perdonata/o

  Ascolto il mio cuore e mi faccio guidare da lui

  Sento una profonda connessione con gli altri

  Il mio cuore è resiliente ed è capace di guarire le sue ferite

Se pronunciando mentalmente queste affermazioni ci sentiamo a disagio o non risuonano con noi, significa che abbiamo percepito un aspetto della nostra vita su cui dobbiamo lavorare maggiormente o qualcosa che in questo momento ci crea dei turbamenti.

Conclusioni

Apriamoci alla vita con lo Yoga

Come Anahata, dalla materia allo spirito, così come nello Yoga dal corpo passiamo alle nostre emozioni. Lo Yoga non è solo pensare positivo ed essere sempre felici ma è un percorso di ascolto, di accettazione di quello che non ci fa stare bene, e di trovare una via per lasciare andare e rendere il nostro cuore il più puro possibile. In quel momento apparve la volpe.

“Buon giorno”, disse la volpe.

“Buon giorno”, rispose gentilmente il Piccolo Principe, voltandosi: ma non vide nessuno.

“Sono qui”, disse la voce, “sotto il melo…”.

“Chi sei?”, domandò il Piccolo Principe. “Sei molto carino…”.

“Sono una volpe”, disse la volpe.

“Vieni a giocare con me”, le propose il Piccolo Principe, “sono così triste…”.

“Non posso giocare con te”, disse la volpe, “non sono addomesticata”.

“Ah! Scusa”, fece il Piccolo Principe.

Ma dopo un momento di riflessione soggiunse: “Che cosa vuol dire

‘addomesticare’?”

[…]

“È una cosa da molto dimenticata. Vuol dire ‘creare dei legami’…”.

“Creare dei legami?”

“Certo”, disse la volpe. “Tu, fino ad ora, per me non sei che un ragazzino uguale a centomila ragazzini. E non ho bisogno di te. E neppure tu hai bisogno di me. Io non sono per te che una volpe uguale a centomila volpi. Ma se tu mi addomestichi, avremo bisogno l’uno dell’altro. Tu sarai per me unico al mondo, e io sarò per te

unica al mondo”.

[…]

La volpe tacque e guardò a lungo il Piccolo Principe:

“Per favore… addomesticami”, disse.

“Volentieri”, rispose il Piccolo Principe, “ma non ho molto tempo, però. Ho da scoprire degli

amici e da conoscere molte cose”.

“Non si conoscono che le cose che si addomesticano”, disse la volpe. “Gli uomini non hanno più

tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercanti le cose già fatte. Ma siccome non esistono

mercanti di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico, addomesticami!”.

“Che bisogna fare?”, domandò il Piccolo Principe.

“Bisogna essere molto pazienti”, rispose la volpe. “In principio tu ti sederai un po’ lontano da me, così, nell’erba. Io ti guarderò con la cosa dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono una fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…”.

Il Piccolo Principe ritornò l’indomani.

“Sarebbe stato meglio ritornare alla stessa ora”, disse la volpe. “Se tu vieni, per esempio, tutti i pomeriggi alle quattro, dalle tre io comincerò a essere felice. Col passare dell’ora aumenterà la mia felicità. Quando saranno le quattro, incomincerò ad agitarmi e ad inquietarmi; scoprirò il prezzo della felicità. Ma se tu vieni non si sa quando, io non saprò mai a che ora prepararmi il cuore… ci vogliono i riti”.

[…]

Così il Piccolo Principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu vicina:

[…]

“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore.

L’essenziale è invisibile agli occhi”.

“L’essenziale è invisibile agli occhi”, ripeté il Piccolo Principe, per ricordarselo.

“È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa, che ha fatto la tua rosa così importante”.

“È il tempo che ho perduto per la mia rosa…”, sussurrò il Piccolo Principe per ricordarselo.

“Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei

responsabile della tua rosa…”.

“Io sono responsabile della mia rosa…”, ripeté il Piccolo Principe per ricordarselo.

Federica Luna Orlando

Questa argomento è stata modificata 3 anni fa da natyan27

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