Dṛṣṭi significa “il guardato” cioè l’oggetto che cattura la vista.
La Drishti è il rivolgere lo sguardo verso un determinato punto di attenzione; è molto importante durante la pratica Yoga, in particolare durante l’ esecuzione delle Asana, dato che il corpo va dove va la testa, e la testa va dove va lo sguardo; a livello più sottile, la Drishti è sia una tecnica di Pratyahara (contenzione dei sensi) che di Dharana (concentrazione). La radice di questo termine ha un valore particolare nello “Yoga Sūtra dove dṛṣṭuh è lo “spettatore” o il “testimone” che si stabilirà fermamente (avasthanam) nella propria vera natura (svarupa) solo quando lo yoga avrà inibito (nirodha) le fluttuazioni della mente (citta vrtti) (Yoga Sūtra 1.2-3). Il punto di attenzione più utilizzato è quello sulla punta del naso, ma ne esistono molti altri, ovvero:
Nasagrai Drishti – sguardo sulla punta del naso;
Urdhva Drishti – sguardo verso l’ alto;
Ajna Chakra Drishti – sguardo sul terzo occhio;
Hastagrai Drishti – sguardo verso le mani;
Angustha Madyai Drishti -sguardo verso gli alluci;
Nabi Drishti – sguardo verso l’ ombelico;
lo sguardo su questi punti dovrebbe essere dolce, sereno e rilassato come se volessimo guardare non il punto ma ciò che c’è dietro a quel punto. Solo in questo modo con il tempo, come sosteneva il grande maestro Iyengar, riusciremo a portare la nostra mente ben più lontana dalla mera apparenza delle cose per arrivare a coglierne invece la loro essenza più intima. Quando pratichiamo Yoga la nostra attenzione è spesso assorbita dall’asana che stiamo eseguendo.
Se l’asana è particolarmente impegnativa la nostra mente è concentrata sullo sforzo, sui muscoli, su dove mettere mani e piedi e, anche, su quando l’insegnante ci “autorizzerà” ad uscire da quella posizione.
Quando invece pratichiamo un’asana per noi accessibile spesso ci capita di pensare ad altro: “ho spento la luce uscendo di casa?”, “Cavoli! Non ho risposto alla mail!” o ancora ” Quando esco da Yoga passo dal supermercato a fare la spesa…”. Nel migliore dei casi il nostro sguardo comincia a vagare passando dall’insegnante ai compagni di pratica.
Drishti viene spesso considerato una pratica, quella che insegna a fissare lo sguardo per poter spostare l’attenzione dall’esterno all’interno. Io credo che Drishti sia qualcosa di più di una pratica, è piuttosto uno stato, un modo di essere. Drishti è l’attitudine con la quale stiamo eseguendo una posizione, è “vivere” la posizione stessa.
Il silenzio favorisce la concentrazione, lo sguardo volto su un punto fisso ci ancora e ci aiuta a mantenere l’equilibrio.
In realtà il nostro sguardo è fisso solo in apparenza. Tenere gli occhi fermi ci permette di chiuderci alle distrazioni e rivolgere il nostro sguardo al nostro interno. Mentre fissiamo un punto, un po’ alla volta lo vediamo sfuocarsi, come se, guardando dentro all’obiettivo di una macchina fotografica, girando la rotella ci allontanassimo dal punto di fuoco. In realtà stiamo mettendo a fuoco il nostro vero punto di fuoco, che si trova dentro di noi. Spostare l’attenzione al nostro interno, tuttavia, non significa automaticamente trovare la pace. Anzi. Spesso troviamo o ri-troviamo il vento o la tempesta che abbiamo dentro. Potrà capitare che il nostro corpo oscilli, che il rami del nostro albero-corpo ondeggino, ma l’albero non cadrà.