“Ognuno non sa quel che si voglia e cerca sempre
di mutar luogo, quasi potesse deporre il suo peso”, diceva Lucrezio
Per Schopenhauer la vita è un pendolo che oscilla ininterrottamente tra il dolore e la noia. Per Pascal l’uomo che non rivolge il suo pensiero a Dio è condannato alla noia. Per Kant è una questione di cultura, più si cercano nuovi divertimenti e più si è condannati alla noia. Per Kierkegaard, invece, la noia è un segno di nobiltà. E per noi? Oggi la tecnologia, a suon di notifiche, ci permette di riempire facilmente i momenti vuoti. Ma è la noia che ci porta all’uso compulsivo degli smartphone o è l’uso compulsivo degli smartphone a procurare stati di noia, poiché il cervello si adagia su un click? O forse entrambe le cose sono vere? Sta di fatto che quasi tutti sostengono che un qualunque disagio è preferibile alla noia. Tuttavia, c’è anche chi sostiene che la noia è una specie di “sosta ai box” indispensabile per il corretto funzionamento dei processi creativi. Bertrand Russel sosteneva che una generazione che non riesce a tollerare la noia è una generazione di uomini piccoli, nei quali ogni impulso vitale appassisce.
Oggi, In una società dove il culto della produttività è predominante, la noia viene considerata quasi un peccato mortale. La rifuggiamo, cerchiamo di evitarla in tutti i modi, la riteniamo improduttiva, quasi contro natura. Annoiarsi è addirittura un fallimento personale, una sconfitta di fronte a se stessi e alla società. Viviamo in un ingranaggio fatto di movimento continuo che ci vuole sempre “connessi” e reattivi, non siamo più in grado di stare senza far niente, e, quando accade, viviamo un forte senso di colpa. Non riusciamo a concepire la presenza di spazi non strutturati che, invece, pare siano una panacea per il nostro cervello. Nei momenti di noia, infatti, il nostro cervello trova lo spazio necessario per smarrirsi in divagazioni e sogni a occhi aperti che, come Daniel Goleman e altri scienziati hanno dimostrato, hanno un ruolo fondamentale nei processi cognitivi. La noia di cui stiamo parlando non è, ovviamente, quella che viene chiamata l’anedonia della depressione, ossia l’incapacità di provare piacere nell’affrontare il quotidiano, bensì quello spazio non pianificato che chiamiamo “vuoto” tra un’attività e l’altra.
surya
Biennio di Formazione Insegnanti Yoga